Attacco al potere. Totale, diretto, assordante. La Ferrari gioca su due tavoli, e lo fa a carte scoperte, per tornare a dettare l’andatura in F1. La Rossa nelle ultime settimane sta dando il suo particolare benvenuto ai nuovi proprietari del Circus, ergendosi di fatto a ultimo baluardo di una F1 esclusiva e selettiva. Nella sua particolare battaglia contro la “standardizzazione” dei motori e l’americanizzazione della categoria Maranello ha trovato la migliore spalla possibile, una Mercedes che – sebbene in modo più diplomatico – ha sposato la causa del Cavallino.
Se Liberty Media lavora per una F1 più accessibile, tecnicamente facile e appetibile per nuovi investitori, la Ferrari chiede massima libertà progettuale e sperimentazione, opponendosi in nome di un lignaggio da difendere ad una categoria con “auto tutte uguali e motori semplici” parola di Marchionne, che poi ha tuonato: “Con i nuovi contratt ci mettiamo due minuti ad abbandonare una F1 che somiglia alla Nascar, e non stiamo scherzando”. Il manager italo-canadese vuole evitare che la Ferrari faccia da comparsa di lusso in un nuovo ipotetico “gioco” yankee, tutto pailette e show, ma lontano dal dna che ha reso la F1 la categoria regina dell’automobilismo.
E’ un discorso lungimirante, che abbraccia la decade che verrà, ma che si fonda su un presupposto imprescindibile, ovvero il ritorno in vetta della Ferrari nell’immediato futuro. Il Cavallino s’è stancato di guardare alla finestra gli altri vincere, ha un disperato bisogno di alzare trofei, di tornare ad avere un ruolo egemone in quella F1 che per il globo terracqueo è sinonimo di Ferrari. Ecco perché, prima della battaglia (appena iniziata) con Liberty sui regolamenti futuri, c’è da vincere quella in pista contro la Mercedes. Senza colpi da novanta nel mercato tecnici, i vertici del Cavallino hanno dato seguito la modello orizzontale, quello utile a “liberare il talento e le risorse interne” mantra ormai caro a Marchionne.
La Ferrari in cantiere, progetto 669, dovrà avere i pregi della buonissima SF70H, senza però ereditarne i difetti. Ecco perché i tecnici hanno optato per un passo leggermente più lungo, utile ad avere più stabilità e generare più carico in quelle curve veloci ancora di proprietà esclusiva della Mercedes. Non si può volare a Montecarlo e prendere paga a Silverstone, serve una monoposto veloce dovunque. L’altra grande sfida è ovviamente rappresentata dalla power unit. Situazione degna del famoso paradosso di Zenone; la Rossa, nemmeno fosse Achille con la tartaruga, dà spesso la sensazione di avvicinarsi alla cavalleria di Stoccarda, senza però avere la concreta possibilità di raggiungerla. Non si può vincere con lo sterzo storto a Budapest e prendere mezzo minuto di distacco a Monza, il concetto è lo stesso di cui sopra.
Anche in quest’ottica va letto il rimpasto avvenuto nel reparto motori, con Iotti al posto di Sassi. Al di là delle dichiarazioni di rito, è chiaro che a Marchionne non siano andati giù i problemi al banco avuti con l’ultimo motore del 2017, quello che originariamente doveva creare grattacapi alla Mercedes, è che invece s’è rivelato un clamoroso autogol (leggasi Malesia e Giappone).
Perché la Ferrari ha iniziato questo 2018 con un obiettivo dichiarato, stavolta senza scaramanzia e pretattica: vincere il prossimo Mondiale. Non sono ammessi errori e passi falsi, ma nemmeno buonismi, concessioni alla concorrenza, o compromessi politici. Sergio Marchionne ha sdoganato una Ferrari “cattiva”, che non soffre di complessi di inferiorità e desidera far valere il peso della sua tradizione, in pista e fuori.
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