Qual è il segreto della Ferrari? Gli inglesi se lo domandano da domenica scorsa quando Sebastian Vettel è riuscito a espugnare Silverstone vincendo il GP di Gran Bretagna a Silverstone. Il tedesco ha rotto l’equilibrio che magicamente si era creato dopo l’Austria con tre successi a testa di Mercedes, Ferrari e Red Bull.
La gara inglese, davanti a un pubblico strabocchevole (340 mila persone nel weekend) ha indicato la SF71H come la monoposto di riferimento dopo dieci GP disputati dei ventuno in calendario: la Ferrari conduce le due classifiche iridate con il Cavallino che precede la Mercedes di 20 punti nella graduatoria dei Costruttori e Vettel che può contare su 8 lunghezze di vantaggio su Lewis Hamilton.
La Rossa, quindi, ha messo in… ginocchio le frecce d’argento proprio nel momento in cui la squadra di Brackley ha espresso la sua massima potenza di fuoco, contando proprio su Silverstone per mostrare tutto il suo valore tecnico e iniziare, come l’anno scorso dalla gara di casa, quella fuga verso il quinto mondiale.
Questa volta, invece, i conti di Toto Wolff non tornano, perché la Ferrari ha saputo rispondere colpo su colpo alla Mercedes che in Francia ha fatto debuttare il motore Phase 2.1 e in Austria una W09 mezza nuova con interventi che hanno riguardato il rifacilmento delle pance per migliorare il raffreddamento e l’efficienza aerodinamica.
I due ritiri del Red Bull Ring delle frecce d’argento per problemi meccanici hanno azzoppato la Mercedes (Bottas ha dovuto già montare a Silverstone la terza power unit), ma nel team di Brackley erano certi che messi a posto tutti i tasselli del puzzle, la W09 avrebbe aperto un ciclo di successi.
Ma così non è stato e non è bastato alla Stella riprogettare mezza macchina a metà stagione per stare davanti alla Ferrari. Sembra ormai inequivocabile il fatto che la Mercedes abbia perduto la leadership di motore che ha contraddistinto l’era ibrida dal 2014 a oggi.
Il 6 cilindri turbo Ferrari siglato 062 EVO sta surclassando il Mercedes F1 M09 EQ Power+: a Silverstone c’erano cinque motori del Cavallino nei primi nove in qualifica, perché a beneficiare del salto di qualità del motore non è stata solo la Scuderia, ma anche i team clienti, Haas e Sauber. Alla Mercedes ne sono rimasti tre (i due ufficiali e al decimo posto, quindi, proprio al limite della top ten, la Force India di Esteban Ocon), con due Renault nel mezzo.
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E questa “fotografia” evidenzia proprio come Force India e Williams stiano scivolando indietro anche perché non possono contare più su un vantaggio competitivo come la miglior power unit. A Brackley se ne erano resi conto già alla fine delll’anno scorso che il filone d’oro di Andy Cowell si stava esaurendo perché hanno assunto Lorenzo Sassi, il capo progettista dei motori del Cavallino che proprio di questi tempi nel 2017 era entrato in rotta di collisione con il direttore tecnico, Mattia Binotto, e il presidente, Sergio Marchionne.
Sassi, molto stimato dal dt James Allison, doveva portare idee fresche a Brixworth, ma nella sua “valigetta” non sono state trovate quelle soluzioni che avrebbero permesso di evolvere il motore Mercedes, tenuto conto che la vita delle power unit quest’anno è stata allungata a 7 GP e sono stati introdotti forti vincoli sull’uso dell’olio e degli additivi.
Sembrava che queste variazioni normative volute dalla FIA dovessero colpire in particolare la Ferrari che l’anno scorso disponeva di diversi serbatoi dell’olio con il lubrificante del motore separato dagli antidetonanti che venivano ricircolati nell’aspirazione del motore.
E, in realtà, a pagarne di più le conseguenze è stata la Mercedes che quest’anno non riesce più a sfruttare il “bottone magico” per fare la differenza in qualifica: quanto avessero inciso le mappature elettroniche più estreme o l’olio miracoloso non lo sapremo mai. Solo in Australia avevamo notato una superiorità sul giro secco di Hamilton che era parsa imbarazzante, ma poi…
E, allora, Sassi è stato… usato per cercare di smontare l’avversario: prima con le accuse sull’uso indiscriminato dell’olio (ricordate le vistose fumate che caratterizzavano le messe in moto della SF71H nei test invernali?) e poi con la storia della batteria che ha messo in serio imbarazzo anche la FIA. La Ferrari era stata accusata di usare un’energia elettrica doppia in qualifica sommando la potenza disponibile dai due elementi che compongono la batteria del Cavallno.
Alla fine c’è stata una tempesta in un bicchiere d’acqua da Baku fino a Monte Carlo, quando il caso è stato chiuso da Charlie Waiting. Il direttore di gara della FIA a margine delle polemiche aveva commentato: “Qualcuno sperava che trovassimo qualcosa, ma la F1 cambia molto in fretta e sei mesi sono un periodo molto lungo…”.
A Maranello nell’inverno avevano pensato bene di dotare il turbo compressore di un suo sistema di lubrificazione: dovendo durare 7 GP era giusto preservarne l’affidabilità con interventi appropriati. In realtà volevano farla in barba ai commissari della FIA che avevano limitato il consumo dell’olio motore a 0,6 kg per 100 km. E nel lubrificante del compressore avevano, forse, aggiunto gli antidetonanti della benzina, visto che motore termico e sistema di sovralimentazione sono sempre stati considerati due elementi distinti della power unit.
Le ripetute fumate avevano accreditato questa tesi, ma poi la FIA ha introdotto una nuova direttiva tecnica nella quale chiariva che anche il lubrificante usato per il sistema di sovralimentazione era da considerarsi olio motore, per cui chi aveva puntato il dito sul motore del Cavallino, era sicuro che se ne sarebbero visti gli effetti in pista.
Manco per niente: i 44 millesimi che hanno separato Sebastian Vettel a Silverstone dalla pole di Lewis Hamilton hanno testimoniato che le furbate se c’erano, sono rimaste ben nascoste, perché il motore 2 del Cavallino dimostra di essere non solo il più potente, ma anche quello che consuma di meno di quello Mercedes.
Il motore 2017 di Lorenzo Sassi era molto potente al banco, ma si rompeva montato sulla SF70H. L’anno scorso si diceva che il V6 Turbo Ferrari era fragile e difficilmente avrebbe retto per sette GP quest’anno se non arrivava a cinque nel 2017.
E, invece, Corrado Iotti, capo dei motoristi giunto dalla produzione, ha cambiato alcune modalità di lavoro per cui Enrico Gualtieri, capo progettista, è riuscito con pochi interventi sul propulsore dello scorso anno a trovare potenza e affidabilità. E il punto debole del 6 cilindri che era la testata è stata rifatta. Dunque, se a Maranello non aprono i sigilli della FIA fra un GP e l’altro, ci deve essere qualcosa d’altro per aver impresso una svolta così importante alla stagione del Cavallino.
Il segreto? Verrebbe da dire una benzina speciale della Shell che riesce a dare quel potere calorifico di cui il motore ha bisogno evitando le pericolose detonazioni. Che la Mercedes sia stata superata a livello chimico dopo quattro anni di dominio pressoché incontrastato Petronas?
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