Il Bar sport si chiede giustamente cosa stia accadendo alla Ferrari. È da Monza che non ne fa più una giusta, quando alla prima curva un orgoglioso Kimi Raikkonen si mette a duellare con Sebastian Vettel rovinando ogni progetto di vittoria costruito nel migliore dei modi con quella prima fila Rossa. Fino ad arrivare all’ultima disavventura di Suzuka, passando per altre tappe infelici come Singapore e Sochi. Macché rimonta, macché Mondiale, già finito nelle mani capaci di Lewis Hamilton, che non crede ai suoi occhi davanti a così tanto sperpero ferrarista.
Buttare via un patrimonio di punti, di superiorità tecnica, con errori del pilota, qui conta solo Vettel non il già silurato Raikkonen, prepensionato un filo troppo tardi alla Sauber, e della squadra settore tecnico. Ha ragione Maurizio Arrivabene a dire «che qui non si deve mollare, che ci sono ancora quattro gran premi», ma mentre lo sostiene forse gli scappa da ridere anche lui, sapendo bene che lo champagne è già nel frigorifero della Mercedes. Bene avrebbe fatto a dare l’ordine giusto a Monza, di quegli ordini che non si discutono, si accettano e basta, per il bene della squadra: «Caro Kimi alla prima occasione dai strada a Vettel. Punto». Così si deve fare, non saremmo arrivati a questo mal di pancia. Dalla probabile vittoria di Monza, dall’1-2 quasi naturale, sarebbero nati tanti problemi per la Mercedes e per Hamilton, autentico fuoriclasse, ormai come status alla pari di Senna-Prost-Schumacher, quanto a talento e leadership.
Un malessere rosso esploso, guarda caso, sabato a Suzuka, dopo il pasticcio gomme, dove non s’è capito il giro del vento e delle nuvole che non hanno portato la pioggia tanto attesa ma solo dispiaceri e scelte sbagliate. Non solo quella delle gomme. Peggio ha fatto dopo Arrivabene, un capo votato alla squadra, che ha sempre messo davanti a tutto i suoi uomini, difendendoli in ogni occasione, soprattutto quelle più delicate e difficili, di cambiar improvvisamente strategia: «Errori inaccettabili… ci manca una persona di esperienza… un pistaiolo che fiuti l’aria…». Per finire con la minaccia: «A fine stagione faremo i conti…». Dopo il pasticcio combinato, giustificate rabbia e voglia di spaccare tutto, ma quelle parole vanno dette non in pubblico ma in privato, in faccia a chi se lo merita. Arrivabene la sua faccia ce l’ha sempre messa, com’è ovvio che sia, come il suo ruolo impone, come il suo stipendio contempla. Siamo sicuri che a mente fredda si è già pentito, consapevole che i conti non si regolano in pubblico, ma nel privato di una strategia aziendale.
Ma qui bisogna ragionare su altre responsabilità. Quelle di Sebastian Vettel sono evidenti, compresa quella di Suzuka dove ha tentato un sorpasso sciocco in una situazione impossibile con un pilota, Max Verstappen, che non lascia passare nemmeno suo padre quando nel tempo libero vanno a divertirsi con i go-kart. Poteva aspettare, attendere il momento per assestare il colpo, invece per l’ennesima volta è stato precipitoso. Ma sono importanti anche le colpe di chi dirige il settore tecnico, il troppo silenzioso Mattia Binotto. È chiaro che non c’è stato lo sviluppo tanto atteso della macchina: la Mercedes, invece, è nettamente migliorata. Binotto più portato al nascondino, anche per ordini dall’alto, vuole spiegare cosa è successo. Dov’è il problema? Motore? Telaio? Assetto? Sospensioni? Venga allo scoperto, perché il silenzio, spontaneo o imposto (non certo dal medico), crea maggiore confusione, lascia spazio a speculazioni, ipotesi, voci non controllate. Anche chiarire, parlare, spiegare, fa parte del gioco di squadra.
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