La Ferrari fa scuola. La SF90 è una monoposto molto estrema dal punto di vista aerodinamico: bisogna dire che di solito i tecnici del Cavallino non sono i più bravi nell’interpretare le nuove norme regolamentari.
In passato sono stati criticati per aver letto le regole in modo troppo scolastico, lasciando ad altri interpretazioni più ardite, mentre dalla SF70H del 2017, che ha introdotto un nuovo concetto aerodinamico nel disegno delle pance, l’approccio degli ingegneri della Scuderia è stato molto più aggressivo, spesso nella zona grigia della lettura delle norme.
È indubbio il fatto che con la semplificazione delle ali anteriori, voluta dalla FIA per favorire i sorpassi delle monoposto che si trovano in scia, sia stata “capita” meglio dagli aerodinamici di Ferrari e Alfa Romeo (anche se la Mercedes ha rifilato due doppiette in due gare disputate). David Sanchez ha saputo riproporre l’outwash dei vortici rispetto alla ruota anteriore, mentre Mercedes e Red Bull si erano concentrate a indirizzare i flussi all’interno (inwash), determinando due filosofie di sviluppo molto diverse.
Pian piano queste ultime due squadre si stanno convertendo ai concetti del Cavallino che intorno a questa idea di base hanno sviluppato gli altri aspetti della Rossa. Le regole FIA hanno fortemente vincolate le brake duct anteriori che sono tornate ad essere più dei condotti per il raffreddamento dei freni che degli importanti apparati aerodinamici come erano fino al 2018.
I commissari tecnici FIA di Nicholas Tombazis oltre a minimizzare le alette della brake duct hanno limitato la portata della presa d’aria, vietando per esempio il mozzo forato. A Maranello sono riusciti a riprodurre un flusso che, almeno in parte, cerca di restituire i vantaggi del buco centrale soffiato. Nel Reparto Corse hanno spostato la pinza dei freni anteriore: non è più quasi stesa come sulla SF71H, ma è inclinata entro l’asse per lasciare spazio a uno sfogo d’aria, pensato per una sola funzione che è aerodinamica.
Vale a dire che deve soffiare al di fuori dei raggi del cerchio (che, comunque, ruotando generano delle perdite di efficienza) un getto d’aria che indirizzi il flusso che arriva dall’ala anteriore affinché sia utile a ripulire la scia molto perturbata della gomma anteriore. E allora scopriamo come i cestelli in carbonio siano diventati delle opere d’arte. Un tempo si limitavano a trattenere il calore dei freni per cercare il miglior warm up delle gomme innescando (o meno) la temperatura dei cerchi, mentre adesso si sono trasformati in complicatissimi condotti che separano l’aria necessaria al raffreddamento di disco e pinza dai flussi (freddi) con la sola funzione aerodinamica.
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L’immagine di Sutton, sopra, ci mostra in modo eloquente il condotto che in Bahrain è diventato molto più grande di quanto non fosse quello che si era visto nei test invernali di Barcellona, segno che l’effetto aerodinamico può essere sviluppato sebbene i tecnici siano obbligati a lavorare in spazi molto angusti.
E’ importante mettere in evidenza come il disegno dei cestelli e la portata di ciascun condotto della presa d’aria venga modificato GP per GP in funzione delle caratteristiche del tracciato e di quanto sia impegnativo nelle staccate. Anche in Bahrain abbiamo visto i cestelli dei freni di disegno asimmetrico sui due lati.
E non è un caso che in questa direzione siano andati anche Mercedes, McLaren e Renault. La squadra leader del mondiale lavora facendo uscire il flusso aero nella parte superiore del cestello. McLaren e Renault, invece, sono rimaste nel solco indicato dalla Ferrari. Questo è un campo di sviluppo nel quale si possono ottenere risultati importanti dal punto di vista delle prestazioni per cui aspettiamoci grandi novità gara dopo gara.
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