Il secondo appuntamento del Mondiale di Formula 1 2019 va in scena in Bahrain, sulla pista di Sakhir. Si tratta di un percorso che si sviluppa 5.412 metri che sarà da percorrere 57 volte. Famosa per i lunghi rettilinei e le frenate impegnative, la pista vede le due staccate più difficili alle curve 1 e 14.
La traversata nel deserto, per dimenticare i dolori australiani e cancellare la controfigura di una macchina «troppo brutta per essere vera». Domenica in Bahrein il secondo Gp della stagione è già un esame chiave per la Ferrari. Serve una risposta immediata, servono segnali rassicuranti dopo il risveglio con una secchiata in faccia. E va fermata la Mercedes prima che vada in fuga. Come? Ritrovando la SF90 autentica, la monoposto che nei test di Barcellona aveva fatto vedere tante belle cose.
Mattia Binotto, Team Principal
“Il Gran Premio del Bahrain è la seconda tappa di una stagione molto lunga e impegnativa. Rispetto alla pista australiana il circuito di Sakhir ha caratteristiche molto diverse, con trazione e frenata che sono elementi importanti. Credo che come squadra dobbiamo verificare in Bahrain di aver capito e gestito le aree di debolezza che in Australia, per tutta una serie di fattori, non ci hanno permesso di sfruttare appieno il potenziale della vettura. In Bahrain ci aspettiamo di poter vedere l’effetto delle correzioni che abbiamo apportato, anche se siamo consapevoli che i nostri avversari saranno ancora una volta molto forti. Detto questo, non vediamo l’ora di scendere in pista e confrontarci con loro”.
A Maranello hanno chiuso le analisi sul passo falso di Melbourne, all’interno del gruppo guidato da Mattia Binotto prevale il pensiero che i problemi dell’Albert Park non si ripeteranno. Parlare di ottimismo sarebbe esagerato, ma la convinzione è che quella pagina sia ormai chiusa. «Perché andiamo così piano?», il team radio di Sebastian Vettel sul finale della gara rimbomba ancora. Sarebbe stato un insieme di fattori a provocare tanta lentezza: la mancata correlazione fra i dati del simulatore e quelli della pista ha portato fuori strada nella ricerca degli assetti e qualsiasi correttivo non ha funzionato. La differenza di prestazioni con la Mercedes è emersa soprattutto nelle curve medie e lente, oltre che sui rettilinei.
Ma ci sarebbe stata anche la necessità di proteggere il motore a causa di un’errata configurazione aerodinamica del sistema di raffreddamento per il circuito australiano. Questo spiegherebbe l’utilizzo di mappature meno spinte, cavalli in meno, che hanno inciso negativamente pure sul consumo delle gomme facendo saltare gli equilibri di una macchina nata veloce. Malanni passeggeri, sembrerebbe. Tutto questo escluderebbe guai più seri e ridimensionerebbe i timori sull’affidabilità (che pure esistono), anche se l’ultima parola la dirà soltanto l’asfalto di Sakhir. I 5.412 metri del tracciato dove Sebastian Vettel ha vinto sia l’anno scorso sia quello precedente sembrano disegnati apposta per il test della verità. In passato hanno svelato virtù e magagne, una vetrina notturna per misurare le ambizioni iridate.
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